Recensione del romanzo II Nome della Rosa di Umberto Eco (2024)

Recensione del romanzo “II Nome della Rosa” dello scrittore italiano Umberto Eco, in cui vengono descritto il romanzo, i suoi temi, la sua trama, i contenuti, la forma e lo stile adottati dall’autore per la stesura

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di nicofontana

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Recensione del romanzo II Nome della Rosa di Umberto Eco (3)Recensione del noto romanzo storico "Il nome della rosa" scritto dal linguista italiano Umberto Eco e pubblicato nel 1980. La recensione include una panoramica sul romanzo, la descrizione della trama, e l'analisi dei personaggi presentati nella vicenda.

Il Nome della Rosa di Umberto Eco

Il Nome della Rosa è il primo romanzo scritto dal linguista e semiologo italiano Umberto Eco; il testo fu pubblicato nella sua prima edizione nel 1980 dalla casa editrice Bompiani.

L’opera si qualifica nel genere dei romanzi, con forti influenze storiche, filosofiche, ma presenta anche caratteristiche del romanzo giallo. Il Nome della rosa è ambientato in un monastero benedettino, attorno al 1327, e nella narrazione l’autore utilizza la tecnica dell’espediente letterario, fingendo che il testo sia un manoscritto ritrovato. Scritta e pubblicata nel 1980, l’opera ottenne un notevole successo registrando vendite superiori a 60 milioni di copie. Inoltre, nel 1981 vinse il Premio Strega- il maggior riconoscimento per le opere letterarie in Italia; nel 1982 vinse il Prix Medicis francese, nella categoria delle opere straniere, nel 1983 fu selezionato dalla rubrica “Editor’s Choice” del New York Times, nel 1999 fu inserito nella rubrica dei “100 libri del secolo” dal giornale francese Le Monde, nel 2009 fu inserito nella lista “1000 romanzi che ognuno dovrebbe leggere” pubblicata dalla testata giornalistica inglese The Guardian, inoltre poi, fu oggetto di varie rivisitazioni cinematografiche, teatrali ed anche radiofoniche.

Il Nome della Rosa: trama e comprensione del testo

Secondo quanto affermato dallo scrittore, questo romanzo non è altro che la trascrizione di un antico manoscritto trecentesco composto da un monaco, Adso da Melk. Il contenuto del manoscritto deriva da una traduzione francese, ma nonostante le ricerche Adso non riuscì a ritrovare l'originale. Tuttavia, rimase assorbito dalla lettura e dichiara (p. 11):"quasi di getto ne stesi una traduzione”. Il romanzo si sviluppa in sette sequenze.

  • La prima sequenza comprende il prologo e il primo giorno. L'opera si apre con Guglielmo da Baskerville, un dotto francescano inglese, che accompagnato dal novizio Adso da Melk, un giovane benedettino, compie un viaggio in Italia. A frate Guglielmo è stato affidato, dall'imperatore Ludovico il Bavaro, un compito importante, organizzare (pag. 152) “un incontro preliminare tra i membri della delegazione imperiale e alcuni inviati del papa, per provare le rispettive posizioni e stilare gli accordi per un incontro (ad Avignone) in cui la sicurezza dei visitatori italiani fosse garantita”. Per questo primo incontro Guglielmo aveva scelto un'abbazia benedettina italiana (pag. 152), “perché si sapeva che l'Abate era devotissimo all'impero e tuttavia, per la sua gran abilità diplomatica, non inviso alla corte pontificia. Territorio neutro, dunque, l'abbazia, dove i due gruppi avrebbero potuto confrontarsi”. Arrivato sul posto, frate Guglielmo viene pregato dall'Abate di indagare sull'uccisione del monaco Adelmo di Otranto, ritrovato senza vita una mattina sul fondo di una scarpata. Guglielmo, dopo che l'Abate gli concede libertà di movimento nell'abbazia eccetto che nella biblioteca, conosce nello scriptorium i monaci dell’abbazia (protagonisti della vicenda): il bibliotecario Malachia da Hildesheim, il giovane appassionato di retorica Bencio da Upsala, il traduttore dal greco e dall'arabo Venazio da Salvemec e l'aiuto del bibliotecario Berengario da Arundel. Nello scriptorium è presente anche Jorge da Burgos, un vecchio monaco cieco, il quale narra numerose credenze sull'Anticristo. Guglielmo trova nell’abbazia anche l'amico Ubertino e conosce il maestro vetraio Nicola da Morimondo, l'erborista Severino e infine Salvatore.
  • Seconda sequenza: il secondo giorno.Durante il vespro mattutino Venazio viene trovato morto in un barile di sangue di maiale e Guglielmo si convince del fatto che le due morti siano entrambe legate alla biblioteca dell'abbazia, considerata tra le più grandi della cristianità. Perciò Guglielmo e Adso manifestano il desiderio di visitarla, ma il permesso viene loro negato dall'Abate, che ricorda che è un luogo vietato, conosciuto solo da Malachia e da Berengario. Nel frattempo, Guglielmo scopre dell'esistenza di alcuni libri vietati che portano l’annotazione “finis africae”, rimandando al catalogo delle opere conservate nella biblioteca. Guglielmo prosegue la sua indagine ed inizia a sospettare di Berengario, che è l’ultimo ad aver visto Adelmo in vita e che temeva che Venanzio gli avesse rivelato la relazione che intratteneva con Adelmo. Guglielmo ed Adso decidono, nonostante i divieti, di recarsi nella biblioteca; provano a trovare il libro che Venanzio studiava nello scriptorium, ma questo è scomparso. Resta una vecchia pergamena scritta in greco con le annotazioni di Venanzio. Mentre studiano questa pergamena, si accorgono che non sono soli in questo luogo segreto: un ospite misterioso riesce a sottrarre gli occhiali a Guglielmo che così è non può continuare a leggere. Guglielmo ed Adso nell’inseguire la misteriosa spia imboccano il labirinto della biblioteca, e con grande fortuna riescono a trovare l’uscita.
  • Terza sequenza: il terzo giorno. Guglielmo riesce a decifrare le annotazioni di Venanzio, ma il testo rimane enigmatico. Sulla pergamena era scritto: “Secretum finis Africae manus sopra idolum age primum et septimum de quatuor”. Guglielmo desidera interrogare Berengario, ma questi è scomparso. Quindi cerca di risolvere l’enigma della pianta della biblioteca, e riuscendoci, decide di tornarvi la notte seguente. La sera Adso scopre nelle cucine una giovane donna dalle sembianze angeliche; questa era li per cercare del cibo e in cambio si offre al giovane Adso. Durante la notte, nelle latrine viene trovato il corpo di Berengario; Guglielmo è incuriosito dalle macchie marroni che il cadavere presenta sulle dita e sulla punta della lingua e sospetta l’avvelenamento. Tramite Severino si scopre che era Berengario la misteriosa ombra nella biblioteca.
  • Quarta sequenza: il quarto giorno.Il gruppo dei francescani raggiunge l'abazia, guidato da Michele da Cesena. Il compito del minorita era quello di (pag. 294) “decidere sui modi e sulle garanzie di un viaggio che non avrebbe dovuto apparire come un atto di sottomissione, ma neppure come un atto di sfida”. Successivamente giungono gli emissari del papa, alla cui testa si trova l’inquisitore Bernardo Gui, a cui era stato affidato il comando dei soldati francesi e la cura dell'incolumità della delegazione papale. Guglielmo ed Adso, intanto, si introducono nuovamente nel labirinto e ne tracciano la piantina, ma non riescono ad accedere al luogo identificato “finis africae”. Intanto, Bernardo Gui prende in mano la situazione e sorprende la fanciulla amata da Adso con Salvatore. Credendo che il monaco, sedotto dalla strega, avesse intenzione di compiere riti magici ordina (pag. 333) “di legare bene l'uomo a qualche anello fisso nel muro, in modo che egli potesse interrogarlo guardandolo nel viso. Quanto alla ragazza non valeva la pena interrogarla, poiché altre prove l'avrebbero attesa prima di bruciarla come strega”.
  • Quinta sequenza: il quinto giorno.Le discussioni politiche e religiose tra le due delegazioni sono interrotte da una nuova agghiacciante scoperta. Severino viene trovato morto nel suo laboratorio: (pag. 362) “lo sventurato erborista giaceva cadavere in un lago di sangue, con la testa spaccata.”. Bernardo Gui procede all’arresto del cellario Remigio, sospettato di essere l’autore degli assassini. Viene organizzato un processo durante il quale sono giudicati Remigio ed i due prigionieri della vigilia: Salvatore e la fanciulla. Sotto tortura, il cellario confessa e riconosce tutti i crimini di cui Bernardo Gui lo accusa. Il narratore riporta le parole di Remigio disperato, (pag. 362) “Ho ucciso Adelmo per odio alla sua giovinezza e alla sua bravura nel giocare su mostri simili a me, vecchio, grasso, piccolo e ignorante. Ho ucciso Venazio perché era troppo sapiente e leggeva libri che io non capivo. Ho ucciso Berengario per odio alla sua biblioteca. Ho ucciso Severino...perché? Perché collezionava le erbe. (…) Li ho uccisi... vediamo... invocando le potenze infernali, con l'aiuto di mille legioni ottenute al mio comando con l'arte che mi ha insegnato Salvatore. Per uccidere qualcuno non è necessario colpire, il diavolo lo fa per voi, se sapete comandare al diavolo.” Inoltre, Remigio, che desidera sfuggire alla tortura, riconosce d’essere un eretico ed un criminale, mentre la fanciulla è accusata di stregoneria. Bernardo Gui sembra essere giunto alla soluzione degli omicidi, addebitandoli al cellario. Nel frattempo Guglielmo rivela ad Adso quale sarà il destino dei tre processati: (pag. 408) “Salvatore accompagnerà il cellario, perchè dovrà testimoniare al suo processo ad Avignone. Può darsi che in cambio di questo servizio Bernado gli conceda la vita. La ragazza, invece, è carne bruciata. Ma arderà prima, lungo il cammino, a edificazione di qualche paesello cataro lungo la costa”.
  • Sesta sequenza: il sesto giorno.Al mattino, durante i Sederunt, muore Malachia. Il narratore racconta: (pag. 416) “fu per primo un vegliante che scorse Malachia ciondolare in modo strano. (…) Gli si appressò con la lampada, illuminandogli il volto e attirandolo così alla mia attenzione. Il bibliotecario non reagì. Il vegliante lo toccò, e quello cadde pesantemente in avanti. Il vegliante fece appena in tempo a sostenerlo prima che esso precipitasse”. Guglielmo nota che anch'egli ha la punta delle dita coperte di macchie scure e decide di proseguire la sua indagine, ignorando il verdetto di Bernardo Gui. Guglielmo è convinto che esista un legame tra il libro scomparso e questi omicidi, ma l'Abate manifesta il desiderio che non si indaghi più su quelle tristi vicende, invitando Guglielmo a ripartire. Incurante dell'ordine dell'abate, Guglielmo risolve il mistero per entrare nel “finis Africae” e nel cuore della notte penetra con Adso nella sezione proibita.
  • Settima e ultima sequenza: il settimo giorno.Nel finis Africae, Guglielmo e Adso, sono aspettati da Jorge, che aveva intanto intrappolato Abbone grazie a un congegno posto in un cunicolo che l'avrebbe condotto nella stanza segreta. Non sarebbe stato possibile nemmeno tirarlo fuori perchè Jorge aveva rotto il congegno: Abbone era dunque destinato a morire asfissiato. Jorge invita Guglielmo a leggere il famoso libro, che si rivela essere il secondo libro della Poetica di Aristotele, ma quest'ultimo indossa dei guanti per salvaguardarsi, dal momento che aveva ormai capito ogni particolare delle malefatte di Jorge. Il monaco aveva portato quel libro dalla Spagna, e preoccupato che potesse essere scoperto, aveva sottratto del veleno a Severino e ne aveva cosparso il volume, in modo che chiunque l'avesse toccato sarebbe morto: Adelmo si era suicidato per rimorso, Venanzio aveva letto il libro e si era trascinato sotto l'effetto del veleno fino alla cucina in cerca d'aiuto; poi Berengario, trovato il suo cadavere, e preoccupato che l'inchiesta avrebbe potuto coinvolgerlo, l'aveva immerso a testa in giù nell'orcio. Intanto Berengario porta con sè il libro nell'ospedale e muore casualmente nei balnea. Severino scopre il volume, ma, sorpreso da Malachia, a sua volta istigato da Jorge, lo uccide, ma anche lui legge il libro e muore a causa del veleno. In quel libro Aristotele giustificava il riso, considerata "una forza buona, che può anche avere valore conoscitivo", mentre questo non era ammesso da Jorge, secondo cui "la legge si impone attraverso la paura, il riso infatti distoglie l'uomo dalla paura, il cui nome vero è timor di Dio". Jorge, smascherato da Guglielmo, mangia il libro e muore in modo orribile. La vicenda si conclude con l'incendio che scoppia a causa della caduta di un lume nella biblioteca durante la notte del settimo giorno. Rapidamente saranno divorati e distrutti dalle fiamme il grandioso deposito di sapienza cristiana e l'intera abbazia. Nell'opera di Umberto Eco la rottura dello stato di armonia corrisponde all'assassinio di Venanzio, il primo monaco ucciso dal veleno, con il quale Jorge aveva impregnato il libro. L'evento che ripristina l'equilibrio iniziale, invece, è rintracciabile nella distruzione della biblioteca, dalla quale proveniva l'opera di Aristotele, che aveva portato morte e sventure tra i monaci.

Analisi dei personaggi de Il Nome della Rosa

I protagonisti della vicenda sono Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk. Guglielmo da Baskerville viene descritto in maniera estremamente accurata dal narratore, egli appartiene all'ordine dei francescani e, dopo essere stato per molti anni un inquisitore, viene inviato dall'imperatore come mediatore fra il Papato e l'Impero. È un monaco estremamente dotto e sapiente. Affronta ogni situazione con destrezza e prontezza nell'agire, a cui unisce un acuto spirito d'osservazione e prontezza intellettuale. Dal punto di vista ideologico Guglielmo, in più passi del romanzo, parlerà della donna con il giovane Adso. Egli spiegherà che (pag. 255) "della donna si dice che la sua conversazione è come fuoco ardente, che essa s'impadronisce dell'anima preziosa dell'uomo e i più forti sono stati rovinati da essa". Guglielmo, quindi, aderisce alla concezione della donna elaborata dalla Chiesa nel Medioevo, secondo la quale la bellezza fisica della donna è solo uno strumento di tentazione da parte del demonio nei confronti dell'uomo. Adso da Melk, di origini tedesche, è la voce narrante della storia, vale a dire il protagonista. Egli è un novizio benedettino ed è stato affidato a Guglielmo per avere un maestro che lo istruisca. È giovane, perciò molto ingenuo. Nei sette giorni della vicenda egli matura molto e cresce sia dal punto di vista spirituale che intellettuale, approfondendo molti fenomeni del tempo, come le eresie e la corruzione della Chiesa. I coprotagonisti della vicenda sono Jorge da Burgos e Bernardo Gui. Jorge da Burgos, il più vecchio dei monaci dopo Alinardo, è cieco ma si muove e parla come se avesse la vista. La figura sinistra di Jorge domina l'abbazia con la sua presenza: come predicatore apocalittico e come inflessibile difensore delle regole. Solo lui è al corrente di tutti i segreti racchiusi nella biblioteca, conosce tutti i libri, custodisce e protegge il sapere. Il narratore lo descrive come (pag. 86) "un monaco curvo per il peso degli anni, bianco come la neve, non dico solo il pelo, ma pure il viso, e le pupille." Passa molto tempo nello scriptorium, distribuendo consigli ai monaci, i quali lo apprezzano e si rivolgono a lui. Col passare degli anni ha acquisito influenza ed importanza nell'abbazia, fu lui a far eleggere Abbone come abate e Roberto da Bobbio e poi Malachia come bibliotecario “manovrandoli per quaranta anni”. Jorge disprezza il riso e gli esseri umani che ridono perché essi si prendono beffe della divinità e si allontanano dalla realtà. Per questo s'impone di tenere segreto il “II libro della poetica” di Aristotele che giustifica e apprezza il riso e che (pag. 303) “distrugge una parte della sapienza che la cristianità aveva accumulato lungo i secoli”. Egli è la causa dei delitti che sconvolgono l'abbazia. Infine, Bernardo Gui, frate domenicano impegnato come inquisitore. Egli è descritto dal narratore come (pag. 303) “un domenicano di circa settant'anni, esile ma diritto nella figura. Colpiscono gli occhi grigi, freddi, capaci di fissare senza espressione. (…) E' abile sia nel celare pensieri e passioni che nell'esprimerli a bella posta”; una persona intelligente e acuta, ma non ricerca la vera giustizia bensì si accontenta di trovare dei colpevoli per rafforzare la potenza della sua carica.

Recensione del romanzo II Nome della Rosa di Umberto Eco (4)

Interpretazione complessiva e approfondimenti

Lo stesso Umberto Eco dichiara, che il romanzo nasce dal suo amore per la scrittura, aggiungendo che "è consolazione di uno scrittore il fatto che si possa scrivere per puro amore di scrittura”. Il nome della rosa è un romanzo travolgente e serrato, scritto in modo eccellente. La sua narrazione offre suspense poliziesca, ma anche stratificazioni contenutistiche, culturali, storiche e sociali. Individui arsi al rogo, superstizioni, ricchezza inappropriata, scandali laddove non sarebbe opportuno trovarne, ingiustizie e la mentalità dell’epoca rendono questo romanzo interessante e coinvolgente. La presenza di arcaismi, termini insoliti, frasi interamente in latino e nel dialetto tedesco parlato da Adso stimolano il lettore, e differenziano l'opera di Umberto Eco dai romanzi gialli. Leggendo “Il nome della rosa” si approda in un altro mondo, che rapisce l’attenzione del lettore sottraendolo alla realtà. Così facendo, il lettore inizia a vivere nella mente dei personaggi, cerca di capire cosa si nasconde dietro un episodio mentre il personaggio riflette, resta col fiato sospeso mentre cammina in un tunnel buio per scoprire in che luogo porta, si accorge che ciò che fino ad un momento prima sembrava una certezza, in realtà non lo è, e quindi dubita riguardo a qualsiasi personaggio e avvenimento del racconto.

Per ulteriori approfondimenti su Umberto Eco vedi anche qua

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Recensione del romanzo II Nome della Rosa di Umberto Eco (18)

_Alexpierantozzi

Recensione molto dettagliata del brano. Peccato che manchi un commento personale...

25 Maggio 2016

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Author: Fr. Dewey Fisher

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